“Proprio oggi il mio giardiniere, dietro il mio sguardo compiaciuto di cotanta metafora vivente, sfoltiva i rami del pesco carichi di minuscoli frutti agglutinati l’uno all’altro. -Sono troppe…si ammalerebbero o verrebbero piccoline…meglio poche e gustose- mi ha detto quasi scusandosi della piccola strage che aveva commesso sotto i miei occhi.”
Ma io ho trovato la voglia di tornare a scrivere dalla sua saggezza, dopo essermi appuntata un memo su una pagina dell’agenda: ‘di troppa vicinanza si muore’.
Riapro la cartella degli articoli per Impronte, dove due file vuoti hanno i temi di ‘Crisi nelle istituzioni’ e ‘Amore’. Sono ormai dei mesi lì in attesa di essere sviluppati.
Penso che sarebbe bello fondere i due temi: l’amore al tempo della crisi. Oppure: la crisi dell’amore o le istituzioni in amore…Rido tra me e me.
Ma c’è poco da ridere, l’ amore entra in ogni esperire umano, vuoi per evitarlo vuoi per esaltarlo.
Ho accartocciato virtualmente e gettato nel cestino molti tentativi di parlare d’amore, frasi che suonavano come dette da chi si arroga il diritto di saperlo spiegare attraverso le parole.
-Nulla potrei dire che non sia già stato detto- mi dico- Sono in ritardo nelle definizioni intelligenti ma sempre in tempo per dire il mio modestissimo parere a riguardo.
-Ma, benedetti colleghi di redazione, come ci è potuto venire in mente di abbordare questo tema? Ma non potevamo ricavarci una nicchia più circoscritta del tipo ‘l’amore che fu’? o ‘l’amore a pezzi’? Avrei saputo bene cosa scrivere…-
L’amore è una parola-valigia, c’è dentro di tutto. Nel numero sull’odio non abbiamo,forse, parlato soprattutto di amore per capire cos’è l’odio? E, se parlassimo di gelosia, non dovremmo giocoforza partire dall’amore per abbordarne i risvolti? O, se affrontassimo la fiducia o magari il transfert…o altri sentimenti umani,finiremmo comunque per mettere in ballo delle versioni in diverse salse del sentimento amoroso.
L’amore non si dice, non si spiega, l’amore è. E basta.
Tuttavia potrei orientarmi nell’analisi delle declinazioni dell’amore, come le persone vivono o recitano il mistero dell’amore. No, forse potrei vedere come l’amore cambia nel tempo, come segue le stagioni della vita.
Nessuno come noi che facciamo il mestiere di ‘guardoni’ dell’anima, ha un repertorio tanto nutrito di esperienze amorose. Eppure, nonostante molteplici copioni - mai troppi - sono solo due i modi maggiormente rappresentati dai racconti di vita dei miei pazienti. Al primo copione , quello degli amori trasformativi, amori desideranti, nel senso di amare per assimilare, per crescere, per integrare l’altro dentro di sé se ne iscrivono in pochi. Molti, invece, sono quelli che, riscrivendo il copione in
lingue diverse, hanno la tendenza a conservare gelosamente il bene che posseggono, lo proteggono con difese quasi paranoiche.
Insomma, l’essere umano o gioca in attacco o gioca in difesa. E non solo in amore.
Personalmente prediligo (stavo per dire amo) vivere nella tensione, declinare il desiderio in mille forme e ambire a vette insperate. Da almeno un ventennio non mi piace conservare, trattenere, proteggere, nascondere, imboscare, mimetizzare, annichilire ciò che ho conquistato.
Preferisco farmi depredare, svuotare, razziare di tutto quello che ho, pur di affrontare la scalata di un nuovo desiderio. Sarebbe meglio dire salire un nuovo gradino verso lo stesso desiderio…
Quando lavoro nel laboratorio di arteterapia, invito il gruppo a fare il vuoto e poi ad arredarlo di nuovo. Arredare il vuoto non è solo un processo per architetti…
Solo su un foglio bianco ci si può accanire a creare. E alla fine invito a gettare le creazioni nel cestino, non per svalutazione delle opere, ma per fare nuovamente spazio al nuovo desiderio che non ha ancora trovato posto.
Certo, se leggesse questo passaggio uno sprovveduto e comprendesse la metafora a metà, egli direbbe che faccio l’apologia degli amori liquidi: in amore non si può continuamente gettare l’oggetto d’amore nel cestino per passare al prossimo!
Dunque, preciso per gli sprovveduti che soprattutto in una relazione d’amore va sempre gettato via qualcosa per fare spazio ad altro o per rendere più rigoglioso quello che c’è. Il mio giardiniere insegna.
Quando ero adolescente (non ero certo originale) leggevo romanzi d’amore, forse per fare le prove… e ascoltavo le canzoni di Aznavour intrise di storie d’amore e cuori infranti dove le convivenze forzate inneggiavano a condizioni di deterioramento affettivo.
Poi, crescendo in adultità, ho preso in mano saggi di letteratura o di psicoanalisi che facevano lo studio dell’anatomia o dell’autopsia, più spesso, del sentimento amoroso. Nessun libro mi dato mai risposte ai miei interrogativi sul perché l’amore fa soffrire…
Fra tutti, conservo un libro, che io considero ‘da comodino’, che è ‘Frammenti di un discorsoamoroso’ di Roland Barthes. Non è mai fuori moda. Quei frammenti che riporta dei discorsi degli innamorati sono sempre gli stessi sostanzialmente, sono i discorsi di tutti.Ognuno con le dovute variabili, ci si può ritrovare. E col passare degli anni capisco ogni volta qualcosa di più. Nel senso che ogni volta riesco a comprendere quello che strada facendo son pronta a capire. E metto la data sul passo di nuova comprensione come la tacca sul muro che mettevo per vedere quanto i miei figli crescevano in altezza.
L’autore non spiega nulla esplicitamente, ma fa cogliere le dinamiche amorose a trecentosessanta gradi. Ho capito, per esempio, che la maggior parte delle persone registra sotto la voce ‘amore’ l’amore-passione. Ovvero quel tipo di amore che trasforma l’effimero, il transitorio con il suo odore di morte, nel suo contrario: l’eternità.
Nell’amore-passione si gioca la partita di due esseri che si accordano contro il resto del mondo per annullare, attraverso il loro vissuto di fusione e di gioco, la dimensione temporale.
Questa constatazione può spiegare la sofferenza della fine delle storie d’amore. E’ che il tempo passa nonostante e che ogni ritorno alla temporalità provoca uno choc tale da individuare il colpevole nel partner che non ha saputo mantenere la coppia fuori dal tempo per sempre.
-Tu non mi proteggi più, tu mi fai sentire sola- dice l’amata all’amante.
La mia paziente mi riferisce queste parole scandendo le parole, con il tono che la Camusso usa nei comizi in difesa del proletariato. E’ fermamente convinta che, se il suo compagno non stramazza al suolo come lei e vicino a lei, contemporaneamente a lei..non è più innamorato. Lei è sola. Lui colpevole di aver rotto il patto implicito dell’amore: siamo tutt’uno. Non qualche volta. Sempre. Attimo dopo attimo. Macchè: respiro dopo respiro.
L’idea di possesso di un oggetto, anche se d’amore, ha quale caratteristica essenziale la possibilità di perderlo, con conseguente grave produzione di angoscia. Di qui il perchè l’idea di morte è sempre presente nell’amore.
La rottura della fusione torna a dare più direzioni a quella freccia a senso unico finora imboccata. Il mondo è a due passi se imbocchi verso ‘tutte le direzioni’.
La storia d’amore è il tributo, dunque, che l’innamorato deve pagare al mondo per riconciliarsi con esso.
Tanto è bello e salutare il momento della ‘caduta’ in amore (Tomber amoureux. Fall in love) tanto è bello, o dovrebbe esserlo, esaurito un amore, quello di reinnamorarsi del mondo, della vita. Eppure la maggior parte vuol conservare ciò che ha, pur volendosi liberare del fardello di angoscia. L’amore viene percepito come generatore di corrente purtroppo in una tensione troppo bassa rispetto alle potenzialità che ha.
Mi pare di capire che ognuno almeno una volta nella vita ha bisogno di credere di aver afferrato il biglietto vincente della lotteria. Infatti in comune tutti gli amori riconoscono un ‘atopos’ dell’essere amato, ovvero l’inclassificabilità e l’originalità.
Sono grata a Barthes , supporter illustre e più credibile di me, per avermi insufflato l’ idea secondo cui l’amore non si descrive se non attraverso i frammenti dei discorsi degli innamorati. Sempre non possiamo che avere un discorso frantumato, posseduto da tutti e da nessuno, sempre spezzato per l’inadeguatezza del vocabolario che non ha parole sufficienti per spiegarne l’essenza.
Nessun uomo dovrebbe vivere senza aver sperimentato almeno una volta la sana anche se noiosa solitudine di una dimora tra i boschi, scoprire di dover dipendere solo da se stessi, e per questo tirar fuori la vera forza interiore. J. Kerouac
Il consiglio di Kerouac lo interpreto, in fondo, come un modo altro per dire che l’incontro d’amore migliore è quello tra pari che hanno desiderio l’uno dell’altro e non mero bisogno di appoggiarsi l’uno all’altro.
Se l’innamoramento è sano, l’oggetto d’amore permette agli innamorati la percezione dell’espansione del proprio io, ci si sente migliori, si è più felici per l’aumento di fiducia in sé e un senso di autosufficienza della coppia. Quando ciò si verifica in modo simmetrico e speculare, la dinamica dell’introiezione e dell’assimilazione dell’amato a se stesso viene operata da entrambi i partners contemporaneamente . Il problema nasce quando l’altro è percepito come parte propria …eppure si comporta in modo autonomo.
Come si può perdonare all’altro il fatto che può vivere senza di noi, se noi non possiamo fare a meno di lui? Si uscirà mai da questa visione cannibalica dell’amore?