Creatività e Femminilità nell'opera di Marion Milner

Barbara Cipolla
Chi dice donna dice evoluzione nel tempo

Relazione tenuta al Convegno "Chi dice donna dice… evoluzione nel tempo", Pescara 21 giugno 2019

Marion Milner è stata una psicoanalista inglese, scrittrice e pittrice non professionista che visse per quasi tutto il XX secolo. Ha affrontato il tema della creatività psichica, parallela a quella pittorica, esprimendo una inesauribile energia di vivere, lavorare, scrivere e dipingere.

Diversamente dai libri di Winnicott, suo amico e contemporaneo, l’opera di Milner è poco conosciuta e diffusa. All’età di 17 anni Milner lasciò la scuola e ottenne un ruolo da insegnante di lettura ad un bambino. Quest’esperienza fu molto importante per lei per capire come gli individui scoprono la capacità di concentrarsi. Successivamente si laureò in psicologia e fisiologia a Londra e lavorò appena laureata come testista nella psicologia del lavoro. Solo due anni dopo già scriveva il suo primo libro “Una vita propria” (sotto lo pseudonimo di Joanna Field). Nel secondo libro “Un esperimento in libertà” investiga il sistema educativo femminile e i processi inconsci della sua mente. Nel 1939 scoppiò la guerra e Milner ebbe una riconferma dell’incarico scolastico. In questo periodo scrisse il suo 4° libro “Sul non essere capaci di dipingere”. Questo lavoro investiga, sulla scorta delle sue prime idee, la relazione fra la creatività e il processo psicoanalitico.

Fu all’indomani di una conferenza del pediatra e psicoanalista Winnicott alla quale assistette nel 1938 che decise di intraprendere un’analisi freudiana e, un anno dopo, il percorso di analista, sotto la guida della dr.ssa Payne, appartenente al Middle Group – il gruppo neutrale, nel mezzo rispetto alle due scuole di psicanalisi britanniche in forte dissenso tra loro, capeggiate una da Anna Freud, l’altra da Melanie Klein. Si forma come psicoanalista infantile all'Istituto Psicoanalitico di Londra. In supervisione con Melanie Klein. Un'ulteriore analisi la intraprende con Winnicott e, poi, con Clifford Scott.

La sua carriera come psicoanalista durò per 48 anni. Le sue opere di psicoanalisi in senso stretto sono “La follia repressa delle persone sane” e “44 anni di esplorazione psicoanalitica”.

Milner riteneva che la ricerca sulla creatività potesse essere un possibile strumento per fare esperienza di ricerca spirituale e di trascendenza. Come Winnicott, la sua opera guarda al simbolismo religioso dalla prospettiva della relazione madre bambino/a in un’ottica transizionale. Milner lavorò, infatti, anche sul ruolo dei processi inconsci nell’esperienza religiosa. Per Milner sia la creatività che la trascendenza possono essere esperite attraverso l’interfacciarsi della mente cosciente con l’inconscio.  Milner non riteneva però che trascendente fosse sinonimo di inconscio o che fossero la stessa cosa. Milner è soprattutto interessata a che gli individui integrino i due aspetti sia in senso spirituale che psicologico.

Tutta l’opera della Milner segue e descrive il proprio faticoso ma interessantissimo processo di scoperta di come la creatività possa liberarsi da tutto il complesso inconscio che la teneva frenata e che interferiva con la sua libertà.

La potenzialità creativa di ogni persona

La Milner non è interessata a scoprire cosa muove il genio creatore di un artista, ma indaga la potenzialità terapeutica della creatività di ogni persona, che anche senza capacità tecniche, ha voglia di esprimere il piacere dell’occhio e della mano, spinto da un impulso espressivo. Per Milner la creatività psichica è una funzione indispensabile alla nostra vita profonda: tanto l’adulto quanto il bambino hanno bisogno di coltivare e praticare l’uso della fantasticheria, del sogno ad occhi aperti e dell’immaginazione, fino ad immedesimarsi, mescolando fantasia e realtà.

Il bambino in tenera età sviluppa spontaneamente la creatività per raggiungere un equilibrio psichico: egli ha necessità di poter indulgere, senza pericolo, alle fantasticherie e di permettersi di con-fondere senza danno l’io e il non-io. 

Già Anna Freud indicava i punti in comune fra le due esperienze, psicoanalitica e creativa:

1) necessitano di condizioni di sicurezza sia interiore sia ambientale che permettano anche di perdere l’autocontrollo razionale e cosciente; se non avviene questo, il bambino si aggrappa fin da subito al pensiero ordinatore razionale.

2) permettono di tuffarsi momentaneamente nel caos e nell’indifferenziato (ciò genera inquietudine) anche la paura dell’ignoto genera simili processi di difesa e di resistenza: si teme ciò che verrà alla luce, si mal sopporta l’incertezza di ciò che sarà; persino le interpretazioni affrettate, che non seguano il processo di assimilazione del nuovo emergente, possono lavorare in entrambi gli àmbiti come freno per ulteriori scoperte

Le fantasie sono liberatrici, dice la Milner, e anche l’adulto dovrebbe riservarsi degli spazi in cui poter sognare: un percorso analitico, l’attività onirica, i sogni diurni, la creatività in ogni forma. l’arte che tutti gli uomini, e non solo l’artista, possono raggiungere, sia realizzandola sia guardandola o ascoltandola, permette appunto di confondere momentaneamente l’io e non-io e di toccare il mondo inconscio senza danno.

La creazione artistica contribuisce, ad un primo livello, ad esprimere le istanze psichiche nascoste, dimenticate e perdute. ad un secondo e più importante livello, a creare ciò che non è mai esistito, usando una capacità di percezione che si acquisisce ex-novo.

La differenza tra il creatore di immagini-artista e il creatore di immagini-paziente è che quest’ultimo può essere interessato a divenire cosciente delle proprie dinamiche psichiche intime e di ciò che muove i suoi dipinti artistici, al fine di trasportare nel mondo quotidiano e nei suoi rapporti umani le nuove forze, scoperte attraverso la creatività; l’artista invece non è detto che abbia tale interesse diretto: per lui  il godimento può essere anche solo connesso all’offerta delle sue creazioni agli occhi del mondo.

Pazienti e artisti condividono per Milner le resistenze che ogni soggetto incontra nel prendere contatto con il proprio mondo interiore. La differenza tra i due è che l’analizzato userà come forma espressiva la parola, l’artista userà la pittura, la musica o il movimento quali espressioni delle emozioni e delle immagini sottostanti. Entrambi avranno un problema transferale: l’uno col proprio analista, l’altro con la carta e i colori, o lo strumento, o il proprio corpo.

L’immaginazione

La mente si esprime attraverso le mani. Man mano che ella prende coscienza di certi contenuti inconsci, anche le mani riproducono questo cambiamento, portando nuove forme e anche nuovi contenuti.

Guardare gli oggetti coi propri occhi significa illuminarli della nostra immaginazione (ciò accade anche nella vita quotidiana): è necessario unire e organizzare le parziali percezioni delle cose attraverso un atto immaginativo, ma poi bisogna anche dare un’anima alle cose che si vogliono disegnare. La Milner scopre che guardare gli oggetti semplicemente dentro i loro contorni impedisce di arrivare all’essenza ‘vitale dell’oggetto, alla sua vivente realtà. Il lavoro di passare dalla riproduzione all’essenza degli oggetti, rappresenta una lunga scoperta e acquisizione che la Milner opera coscientemente, appoggiata dal lavoro analitico, e che la porta ad affermare quanto già prima si diceva: si crea qualcosa che finora non c’era, si dà all’oggetto una vita sua, lo si riempie di emozione e di vita propria che diventerà colore e linea. si dà all’oggetto una vita sua, lo si riempie di emozione e di vita propria che diventerà colore e linea. il gesto creativo riflette la dimensione non descrittiva ma originale ed emotiva.

La Milner suggerisce, per raggiungere una percezione soggettiva degli oggetti tale da poter dare loro quella vita essenziale, di guardare gli oggetti non esternamente, ma quasi di obliquo; per poterli sentire dentro nel profondo bisogna diventare noi stessi l’oggetto per coglierne le intricate radici profonde, e risalire da esso avvolti da colore e luce.

Milner scrive in proposito: “Essenziale era che ogni segno fatto da me sulla carta fosse mio personale, nascesse dalla mia irripetibile struttura ed esperienza psico-fisiche, e non rappresentasse soltanto una copia meccanica di un modello, sia pure eseguita con grande abilità.”

Se si riuscisse a guardare il mondo sentendolo soggettivamente e intensamente, esso si trasfigurerebbe da reale e utile ad essenziale e vitale. Infatti il mondo esterno si trasfigura perché acquisisce qualcosa del nostro mondo interno, un sogno, un desiderio, una memoria del passato, accumulati nel proprio intimo e rimodellati al momento in un impulso o desiderio di dare a quell’oggetto un’anima sua propria.

L’artista usa la propria vitalità per dar vita alla morta materia che poi acquisterà vita propria in ogni sua piccola parte; l’artista rende il mondo esterno significativo e realmente diverso e specifico attraverso l’individuazione di una forma che lo rappresenti. Contemporaneamente anche l’artista che porta il suo mondo psichico all’esterno, dentro la forma del non-io, diventa conoscibile, mentre il paziente diventa più trattabile dal punto di vista terapeutico.

Il corpo e la femminilità

Milner ha avuto una grandissima attenzione al corpo. Dice che c’è un Sé guida nella vita di ognuno (ma sarebbe insolente chiamarlo Dio). Esso è legato al corpo e si contatta volgendo l’attenzione al corpo. Questo sé al risveglio dopo aver vagato in ogni tipo di cose nel sogno deve ridiscendere nel corpo. Un buon modo di farlo è la pratica auto ipnotica di consapevolezza corporea al risveglio che fa in modo da risvegliare ogni cellula. Ci si arriva attraverso la preghiera, la meditazione, l’allenamento al vuoto interno e alla focalizzazione sul corpo. “Per me pregare è come tenere aperta la nostra botola interna onde far espandere lo spirito.” (M. Milner). La preghiera è un’attenzione al corpo da cui emerge l’inconscio creativo o attraverso cui è contattato.

La spiritualità di Milner è più di tipo immanente, parla di un dio che è nel corpo e nella natura e s’ispira al sacro Femminino, alludendo a simboli femminili per indicare il divino. Milner usa insegnamenti occidentali e orientali in tutto ciò, trovando verità e tesori in entrambi.

I modi della consapevolezza inconsci sono più vicini al “femminino simbolico” (dell’intuizione, della creatività, della spiritualità, rivolta all’interno) che al “maschile simbolico” (della legge, della scrittura, e della interpretazione letterale della realtà, rivolto all’esterno). Questa concezione della femminilità, come immersione a livelli più profondi della realtà e di noi stessi, prevede il doversi ricongiungere con la parte maschile che ordina e disciplina l’inconscio.

Nel libro autobiografico “Una vita tutta per sé" (1934), l’autrice, scoprendosi frustrata e scontenta a dispetto di una vita apparentemente risolta, si mette risolutamente alla ricerca di un criterio personale dei valori che la renda capace di seguire i propri desideri e, per quanto possibile, realizzarli. Questo libro è il documento di una ricerca durata sette anni. “Lo scopo di questa ricerca era scoprire che tipo di esperienze mi rendevano felice” è l’incipit del libro-diario.

L'originalità di questo percorso sta nel fatto che la Milner, pur essendone al corrente, non si avvale di tecniche psicoanalitiche riconosciute, né cerca nei testi già pubblicati delle formule collaudate ma si mette ad ascoltare attentamente il proprio sentire, lo trascrive in un diario, lo esamina senza ipocrisie e ne trae delle conclusioni decisive per il cambiamento desiderato. Lei si paragona al filosofo Descartes che mette in dubbio ogni cosa per ripartire da sé senza pregiudizi.

La Milner afferma che la difficoltà nel realizzare se stessi trae origine soprattutto dall'incapacità di capire che ogni persona umana è dualistica, che ogni uomo o donna è potenzialmente sia maschio che femmina. Come già affermato da Jung, la Milner scopre due tendenze fondamentalmente opposte e tuttavia complementari in ognuno di noi, una polarità che determina ogni pensiero e sentimento e include molto di più di ciò che s'intende normalmente per diversità sessuale. Ammette di aver cercato di vivere una vita “maschile”, di comprensione oggettiva e di risultati concreti, e di essersi resa conto che questa non le appartenesse veramente. La sua indagine su se stessa la conduce a scoprire il significato della femminilità psichica e a fare chiarezza su questa teoria della bisessualità psichica. Siccome la femminilità evoluta viene naturalmente a esprimersi in termini di misticismo, era stata guardata di traverso dall'intelletto analizzante razionale e temuta come un nemico della lucida obiettività; infatti per il ragionamento obiettivo è un compito durissimo capire il suo opposto. Giunge alla conclusione che l'attitudine femminile o soggettiva ha bisogno dell'intelletto maschile per capire se stessa; la maggioranza di coloro in possesso dell'intelletto maschile competente non erano sufficientemente dualistici per avere un'idea del significato di soggettività, sia in un uomo che in una donna.

Milner dice che tutti i suoi pazienti, nei loro percorsi di analisi, sembrano muoversi verso un faccia a faccia interiore con “l’Altro” che è in ognuno di loro e che è tuttavia anche loro stessi.

Il contatto con l’altro primario (e quindi l’accettazione della fisiologica dipendenza e interconnessione degli umani) può avvenire con il recupero del corpo visto come fonte di nutrimento interno e divino di sé una volta che la superbia e l’orgoglio satanico che sostenevano l’illusione dell’autarchia scompaiono.

Al termine del saggio, Marion Milner conclude che “si possono affrontare i problemi in due modi possibili e opposti. Uno, cercare di cambiare il mondo esterno, l’altro, cercare di cambiare se stessi.”

Sebbene tutti e due i sistemi siano alla portata di ciascuno, la maggioranza di noi è diventata unilaterale, preferendo una delle due possibilità in modo assoluto. A chi si occupa di problemi esteriori e cerca di controllare uomini e cose per adattarli ai suoi fini (modalità più maschile), la problematica dell'atteggiamento opposto sembra morbosa e irreale. Mentre a chi non ha nessun desiderio di forzare la sua personalità sul mondo, chi raccoglie quello che il mondo esteriore ha da offrire e con quello fa di se stesso un nuovo essere (ricettività femminile), l'altro atteggiamento sembrerà superficiale. Ma insieme a questo reciproco disprezzo e paura, in ognuno di noi esiste anche un forte desiderio dell'atteggiamento opposto, un tentativo inconscio di ristabilire la bilancia e diventare una personalità con tutti e due gli aspetti, completa come gli esseri a otto gambe di Platone che minacciavano di detronizzare gli dei.